2 Marzo 2018 la nostra Rubrica #Litalianelpiatto esce questo mese con le ricette della tradizione con il tema RISO E TRADIZIONE .In rappresentanza della Sardegna propongo una ricetta ben poco conosciuta anche dai sardi, l'ARROSU CASTEDDAJU ossia il riso alla cagliaritana, che deve la sua particolarità nel fatto che viene cotto dentro la farina di ceci. Con il tema di questo mese vogliamo rendere omaggio alle donne, considerando la vicinanza con la giornata dell'8 Marzo e alle Mondine che lavoravano nelle risaie in condizioni di sfruttamento e grande disagio.
Cita Annalisa Pirastu: Le coltivazioni sarde sono di circa 3.500 ettari con risaie situate tra le provincie di Cagliari e Oristano (3000 ettari circa). Produzione non di grande quantità ma altissima per qualità. Infatti il riso sardo è considerato fra i migliori al mondo
La maggior parte delle risaie sarde in passato producevano
principalmente riso da seme che lasciava l ‘isola perchè acquistato dal Nord d’
Italia per incrementare le sue estese risaie
il riso sardo una volta pulito, sbramato, sbiancato è
commerciato principalmente nel mercato interno, anche se comincia a essere
conosciuto e apprezzato al di fuori della Sardegna.
Nell’ Oristanese spicca l’azienda Stara del 1907, nata dalla
tradizione familiare, che produce appunto il RisOristano da non confondere con
qualunque altro riso prodotto nell’oristanese e spesso venduto nei supermercati
. Il RisOristano è stato selezionato per raggiungere la sua eccellenza, dopo
diverse prove sperimentali. La sua coltura si inserisce in un territorio
caratterizzato dalla presenza di argilla che permette la sua coltivazione con
un basso consumo di acqua, elemento non trascurabile in un pianeta sempre più
assetato. I terreni di origine vulcanica in cui viene coltivato e l’alternanza
di giorni caldi e assolati interrotti da giornate rinfrescate dal maestrale
salmastro, creano un microclima favorevole alla crescita di questo prodotto,
dall’intenso profumo naturale. Proprio il terreno e la cura con cui viene
coltivato questo riso sembra essere la chiave del suo successo.
Il primo riso con cui ha esordito sul mercato14 anni fa l’
azienda Stara è stata la varietà Thaj. Un riso aromatico, tipo basmati, dall’
intenso aroma di pane appena sfornato. Oggi l’ azienda coltiva anche il
pregiato Carnaroli. A settembre-ottobre dopo la raccolta, si inizia la lavorazione
del riso il cui chicco viene privato del suo rivestimento, la lolla, fino ad
avere il prodotto semi integrale o finito bianco. Sia il Thai che il Carnaroli
RisOristano sono prodotti nella variante integrale cioè con la conservazione
della lolla per un cereale ricco di fibre, sali minerali e proteine. L’attenzione rivolta a tutte le fasi della coltivazione, la
scelta del giusto momento di raccolta, l’accurata lavorazione, dopo un periodo
di riposo, danno un prodotto superiore a molti risi in commercio. Certificati,
qualora ce ne fosse bisogno, da questa sfilza di riconoscimenti oltre ad essere
usato dai maggiori cuochi dell’isola per le loro preparazioni.
La condizione femminile in risaia di M. Antonietta Arrigoni: La risaia, dal momento in cui divenne parte integrante
e stabile delle coltivazioni in Lomellina, cointeressò migliaia di lavoratori
ed impose le sue regole, innanzitutto lo sfruttamento intensivo di larghe fasce
di manodopera femminile, locale ed immigrata.La percentuale di ragazze con meno di 21 anni superava il
59% tra le forestiere mentre tra le locali non raggiungeva il 40%; in pratica
nelle locali erano maggiormente rappresentate tutte le classi d'età mentre le
forestiere si concentravano quasi tutte nella fascia tra i 13 e i 21 anni. Una tendenza di questo tipo (squadre forestiere in proporzione più
giovani delle locali) dovette essere sempre presente e compare in modo
ricorrente anche nelle testimonianze orali. Per le forestiere la vita in risaia
poteva avere un carattere transitorio, nel senso che per uno o più anni si
adattavano a vivere in condizioni disagiate per un periodo che oscillava in
media fra i trenta e i quaranta giorni.
Si trattava inoltre, come si è visto, di donne spesso molto
giovani, che potevano quindi considerare la monda, e poi il trapianto, come una
parentesi dura ma nello stesso tempo in qualche modo unica poiché le liberava
per un certo periodo dalla vita familiare e dai lavori domestici . Ed era
innanzitutto questo che separava le mondine forestiere da quelle locali. Per
queste ultime la risaia non era un fenomeno transitorio ma costantemente
presente nella loro esistenza: esse vi lavoravano per tutto l'arco della vita e
per un tempo per lo meno doppio, o addirittura triplo, se si considerano anche
la mietitura e trebbiatura del cereale (pur tralasciando gli altri minuti
lavori) rispetto alle forestiere. Il grosso delle mondine locali era costituito
dalle donne dei "paisàn" (braccianti avventizi) e dei salariati
obbligati, seguivano quelle dei piccoli affittuari (perdapé).
Queste ultime partecipavano spesso alla monda stagionale
presso i grandi proprietari e/o affittuari, svolgendo in molti casi il compito
di caposquadra: si trattava di un indiretto tributo che il "perdapé"
doveva pagare al fittabile a cui era soggetto per bisogni primari come, ad
esempio, la regolamentazione delle acque. Le differenze socio-culturali tra
questi gruppi di donne si traducevano in comportamenti differenziati, sul
lavoro e nella vita privata. Le donne dei salariati vivevano in cascina ed
avevano un contatto più diretto con le stesse mondine forestiere; per buona
parte di esse il lavoro in campagna era continuativo, da febbraio a novembre, e
inoltre godevano di un posizione favorevole rispetto alle braccianti poiché,
oltre ad essere più vicine al luogo di lavoro, la loro era una collocazione
stabile. Si trovavano tuttavia in una condizione di duro sfruttamento dato che
il lavoro della donna nella cascina era strettamente subordinato a quello
dell'uomo e si estrinsecava in una pluralità di compiti quasi tutti
complementari all'attività maschile.
Per il reclutamento, le obbligate si trovavano privilegiate in quanto già inserite
nell'organizzazione del lavoro; questo, sotto un certo punto di vista, poteva
svantaggiarle, costringendole ad alti ritmi per compiacere l'autorità padronale ma,
allo stesso tempo, finiva per porle in una condizione di superiorità nei
confronti sia della manodopera stagionale immigrata che di quella del luogo. In
una collocazione affine alle obbligate, per mansioni e tempi di lavoro, erano
le donne dei "perdapè", costrette ad integrare il bilancio familiare
impiegandosi presso i grandi fittabili o i proprietari terrieri. Ma la loro non
era una posizione completamente subalterna, innanzitutto perché l'assunzione veniva negoziata direttamente dal capofamiglia
col datore di lavoro, inoltre perché, terminata la "giornata", queste
donne si recavano nelle loro risaie e da dipendenti ridiventavano "
padrone". Non era infrequente che il piccolo affittuario assoldasse una
squadra di locali (o singole mondine) per il "quart" (due ore e
mezza). Queste lavoratrici si trovavano così ad essere subordinate ad una loro
compagna in provvisoria veste di padrona.
Dal punto di vista sociale dunque, le donne dei
"perdapé" non si equiparavano né alle obbligate, né alle braccianti,
da cui erano divise per condizione economica e persino abitativa. Nell'ultimo
gradino dell'organizzazione del lavoro locale stavano le braccianti. Non parrebbe
però esatto affermare che queste donne, poste nella necessità di arrotondare il
magro bilancio familiare con lavori stagionali, siano state relegate in risaia
ad una funzione puramente sottomessa; al contrario esse hanno saputo
conquistarsi un ruolo di primo piano nelle squadre. Per la struttura
patriarcale della famiglia contadina la donna non era mai inserita nelle maglie
della comunità come individuo a sé ma in quanto moglie di, madre di, figlia di;
una situazione di tal genere restò immutata sino al secondo dopoguerra quando
l'industrializzazione da un lato e la progressiva meccanizzazione delle
campagne dall'altro contribuirono anche in Lomellina a scardinare questo
sistema.
Gli stessi antichi patti agrari, frutto di consuetudini non
scritte, la legittimavano quando obbligavano al lavoro subordinato, assieme al
salariato, anche la sua famiglia senza possibilità di alternative.
Le braccianti, nel contesto conflittuale delle campagne, vi
si trovavano ancora inserite: esse, in quanto appartenenti ad una famiglia
bracciantile, non avevano altro sbocco occupazionale e condividevano
l'emarginazione degli uomini all'interno della comunità. La proletarizzazione
portava queste donne ad una maggior consapevolezza ideologica del proprio
ruolo, così che nelle squadre si distinguevano perché più combattive e
coscienti dei meccanismi di sfruttamento di cui erano vittime; da ciò deriverà,
ad esempio, una maggior specializzazione del loro repertorio di canti politici.
Mentre nei repertori delle donne dei piccoli affittuari mancano questi testi, e
sono assenti anche se ben noti, ma omessi per autocensura, in quelli delle
avventizie sembra esserci una maggior mescolanza di materiale arcaico e
moderno.
Del resto la risaia, imponendo alle donne di ritrovarsi
annualmente, per un periodo di tempo fisso e abbastanza lungo, contribuiva ad
innescare scambi culturali molto vivi (di cui erano partecipi anche i
forestieri) e quindi, indirettamente, a mantenere certi repertori che
altrimenti sarebbero andati perduti. Le mondine, se pur appartenenti a gruppi
sociali diversi, talvolta antagonisti, erano accomunate poi dalla medesima
condizione di lavoro che poneva loro anche problemi nella gestione del ménage
familiare e nella qualità della vita, da tutte percepita come particolarmente fragile
in quel periodo. Tra Ottocento e Novecento, mentre progressivamente anche se
lentamente si ebbero modificazioni nell'orario di lavoro (per cui si passò da
un inizio alle 4 del mattino, alle 5 ed alle 5.30, e da 12 e più ore a 10, 9 e
poi 8), aumentò nel medio termine la fatica delle mondariso locali impegnate,
dal momento dell'instaurazione del trapianto (da maggio a luglio), in varie
occupazioni nuove: estirpazione del vivaio, trapianto e monda del trapianto.
Quindi, mentre le forestiere furono di regola coinvolte in
un solo compito, monda o trapianto o, in misura minore mietitura (e si può dire
che da questo punto di vista la loro cultura materiale fosse limitata), le
locali erano impegnate in tutto il ciclo della lavorazione del riso dalla
antica pista alla slottatura, alla monda, al trapianto in tutte le sue fasi,
alla mietitura e alla trebbiatura del cereale. Lo sfruttamento della manodopera
locale si prolungava per vari mesi, in tale periodo le donne dovevano
organizzare la propria vita domestica in funzione della risaia, trovandosi così
di fronte a difficoltà sconosciute alla maggior parte delle forestiere. In base
alle testimonianze raccolte si può affermare che uno dei problemi più
drammatici fu quello della sistemazione dei figli in età prescolare, risolto
soprattutto dopo la grande guerra con l'istituzione regolare di asili e nidi,
molti dei quali sorsero durante il fascismo. Precedentemente poteva accadere
che i bambini fossero lasciati alle cure dei fratelli maggiori o di donne
anziane inabili al lavoro, o addirittura portati in risaia e, se neonati, posti
in ceste ai lati del campo. Quando fu concessa per legge (1907) mezz'ora di
allattamento, molte donne si sobbarcarono la fatica di ritornare in paese o in
cascina, o di far portare da qualche parente i neonati in risaia per allattare,
con pesanti disagi non riconosciuti che spesso minavano la salute della donna.
Un altro problema da risolvere era quello della preparazione dei pasti. Nelle
famiglie nucleari, se la donna si assentava per tutto il giorno lavorando nei
campi, veniva consumato un solo pasto caldo la sera. In tempi lontani, quando
l'orario si protraeva sino al tardo pomeriggio, le donne preparavano spesso
l'occorrente per la minestra di riso e fagioli la sera precedente.
Il pasto tradizionale nei mesi estivi consisteva in un
minestrone che aveva spesso tra gli ingredienti molte erbe raccolte nei campi
come ortiche, dente di leone, papaveri, eruche. Le donne si alzavano poi
prestissimo (le due o le tre del mattino) per cuocere la minestra nel camino
(nel proletariato rurale le stufe si diffusero soprattutto nel secondo
dopoguerra), mentre sbrigavano altre faccende come il bucato. Alle fatiche già
elevate va aggiunta quella del raggiungimento del posto di lavoro, anche a 2-3
chilometri dal paese, la distanza era coperta a piedi, solo negli anni '50 si
diffuse l'uso della bicicletta. Tra le due guerre, quando l'orario pomeridiano
si accorciò, molte donne presero l'abitudine di cucinare al ritorno dai campi.
Va inoltre ricordato che molto spesso l'orario di lavoro era solo
apparentemente più breve rispetto alle forestiere, poiché molte vi aggiungevano
le due ore e mezzo del "quart". Un'altra attività comune era quella
di andare, terminato il lavoro in risaia, a spigolare il grano. Era un'usanza
antica: il grano racimolato veniva trebbiato nei solai e nei cortili con
rudimentali attrezzi, spesso semplici bastoni.
La paglia serviva per il piccolo bestiame da cortile mentre
la farina ottenuta era impiegata per l'alimentazione umana (pappe per gli
infanti e i malati, panificazione). Queste mansioni supplementari e integrative
dell'economia familiare spettavano alle donne, ai minori e agli anziani. La
battaglia per le otto ore del proletariato lomellino dovrebbe, in questa
prospettiva, essere intesa anche come una battaglia per conquistare tempo da
dedicare ad attività integrative, necessarie per alleviare parzialmente lo
stato di bisogno e di diffusa povertà. Ma nella lotta per la diminuzione
dell'orario le locali trovarono forti ostacoli nelle forestiere che, se pur
sfruttate, erano tuttavia poco sensibili a questo tema poiché vedevano la loro
presenza in risaia come provvisoria ed erano interessate ad un lavoro intensivo
e di breve durata non solo per risparmiare le spese del vitto (di regola
detratte dalla paga) ma anche perché non avevano l'esigenza di disporre di
altro tempo da spendere al di fuori delle ore trascorse in risaia.
Le locali invece dovevano ridurre le ore dedicate alla
famiglia e alle faccende domestiche, concentrando in un limitato periodo alcune
mansioni inderogabili come la cucina, il bucato, la cura dei bimbi, ecc., con
evidente aumento della fatica quotidiana. Se si considera poi la giornata della
mondina locale nella sua globalità, con tutto il corollario delle mansioni
domestiche e dei lavori extradomestici, occorre allora parlare brevemente anche
dell'alimentazione, un fattore determinante per valutare la qualità della vita.
È noto che i generi alimentari dei mondariso forestieri erano scadenti e
miseri, tuttavia anche l'alimentazione delle locali non si deve immaginare
migliore. Il pasto caldo era uno solo, di sera; all'alba di solito si partiva
digiuni, per consumare un pezzo di pane nell'intervallo di colazione, e pane e
companatico nella pausa del pranzo.
Ma soprattutto nell'ottocento e sino alla grande guerra,
quel pane, cotto ogni otto giorni, era spesso "umido e verde" e il
companatico si limitò sempre ad una cipolla cotta nella cenere, e frutta
raccolta qua e là o comprata per pochi centesimi. Solo durante il fascismo e
nel secondo dopoguerra si poté disporre di una dieta più variata ma sempre
scadente dal punto di vista nutritivo e organolettico per la presenza di cibi
come marmellata, cioccolato, mortadella.
Nel complesso un'alimentazione insufficiente e carente che
coincideva col momento in cui la donna era chiamata a una notevole mole di
lavoro, peggiorata dalla cattiva qualità delle acque, l'uso del
"barlàt", il barilotto di legno a cui tutti bevevano non era certo
raccomandabile dal punto di vista igienico. Questo regime alimentare, in fondo
non dissimile di molto da quello delle forestiere, e che resterà a lungo quasi
invariato, era determinato da una condizione di miseria molto diffusa tra il
proletariato rurale. Dedichiamoci adesso alla ricetta...
INGREDIENTI PER CIRCA 12 persone:
400 gr di riso per risotto;
500 gr di farina di ceci;
una cipolla bionda;
150 gr di pancetta tagliata a listarelle sottili;
100 gr di salsa di pomodoro;
q.b. di pecorino sardo grattugiato;
q.b. di sale;
q.b. di prezzemolo tritato;
q.b. di olio extravergine di oliva.
PROCEDIMENTO:
Sbucciate la cipolla,affettatela finemente e tagliate a listarelle la pancetta.
In una padella antiaderente mettete 4/5 cucchiai di olio evo
e fate soffriggere la cipolla sbucciata e affettata sottilmente senza farla
dorare. Aggiungete la pancetta tagliata a listarelle. Lasciate rosolare e
aggiungete la salsa di pomodoro.
In un largo tegame versate a pioggia, in abbondante acqua salata, la farina di
ceci e lasciate cuocere sempre mescolando per evitare il formarsi dei grumi,
circa 40 minuti.
Aggiungete quindi il soffritto alla farina di
ceci che nel frattempo a fiamma bassa continua a sobollire e il prezzemolo tritato. Aggiustate di sale se necessario e unite il riso lasciandolo cuocere per circa 20 minuti mescolando saltuariamente.
Aggiungete a fine
cottura il pecorino grattugiato per mantecare, spolverizzate ancora di pecorino grattugiato e servite ben caldo.
Vi presento le ricette delle mie meravigliose colleghe, rappresentanti delle altre Regioni Italiane;
Valle d'Aosta: Risotto alle erbe di montagna http://www.acasadivale.ifood.it/2018/03/risotto-alle-erbe-di-montagna.html
Piemonte: Risotto al Barbera con scaglie di castelmagno http://www.fiordipistacchio.it/risotto-al-barbera-con-scaglie-di-castelmagno
Liguria: Minestra di riso e baccalà https://arbanelladibasilico.blogspot.com/2018/03/minestra-di-riso-e-baccala-per-litalia.html
Lombardia: Risotto alla milanese con ossobuco
http://www.kucinadikiara.it/2018/03/risotto-alla-milanese-con-ossobuco.html
Trentino Alto Adige: Risotto al teroldego http://www.dolcementeinventando.com/2018/03/risotto-al-teroldego.html
Emilia Romagna: Risotto alla primogenita https://zibaldoneculinario.blogspot.com/2018/03/risotto-alla-primogenita.html
Toscana: Minestra di riso e lampredotto https://acquacottaf.blogspot.com/2018/03/minestra-di-riso-e-lampredotto.html
Marche: Riso alla marchigiana https://www.forchettaepennello.com/2018/03/riso-alla-marchigiana.html
Umbria: Riso e patate https://www.dueamicheincucina.it/2018/03/riso-e-patate.html
Lazio:
Abruzzo: Risotto alla marinara http://ilmondodibetty.it/risotto-alla-marinara/
Molise: Riso al sugo con scamorza e uova sode https://blog.cookaround.com/gildabias/riso-al-sugo-con-scamorza-e-uova-sode/
Campania: Riso e latte per il giorno dell’ascensione https://fusillialtegamino.blogspot.com/2018/03/riso-e-latte-per-il-giorno.html
Puglia: Risotto alle seppie https://breakfastdadonaflor.blogspot.com/2018/03/cucina-pugliese-risotto-alle-seppie.html
Basilicata: Risotto con fagioli e salsiccia di cinghiale croccante http://blog.giallozafferano.it/lalucanaincucina/risotto-con-fagioli-e-salsiccia-di-cinghiale-croccante/
Calabria: Riso e scariola https://ilmondodirina.blogspot.com/2018/03/riso-e-scariola.html
Sicilia: Arancini di Riso alla Norma http://www.profumodisicilia.net/2018/03/02/arancini-di-riso-alla-norma/
Sardegna: Arrosu casteddaju ( RISO ALLA CAGLIARITANA ) https://dolcitentazionidautore.blogspot.com/2018/03/arrosu-casteddaju-riso-alla-cagliaritana.html
Ma questa ricetta è una vera chicca. Il riso cotto in questo modo, con l'uso della farina di ceci, è una vera novità che mi piacerebbe tanto sperimentare. Copio e conservo la ricetta. Grazie per la condivisione.
RispondiEliminaHo assaggiato il vostro riso: me lo ha regalato un'amica che ha una casa in Sardegna. La cecina con il riso mi mancava, è proprio da assaggiare! Un abbraccio
RispondiEliminaMa molto molto particolare la tua ricetta! Brava Daniela!
RispondiEliminaun abbraccio
Proverò sicuramente la ricetta, ma soprattutto mi ha incantato la storia Grazie mille.
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